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Le parole fanno più male delle botte, la Polizia Postale in cattedra alla “Brigida”

  • Studenti ‘a lezione’ con l’ispettore tecnico della Polpost Mario Vitarelli. D’impatto la storia di Carolina Picchio, la prima vittima del cyberbullismo, morta suicida a 14 anni

Quando entriamo nella rete abbiamo sempre un nome, un cognome, un volto ovvero un’identità digitale che ci impedisce l’anonimato e contribuisce alla formazione della nostra ‘reputazione on line’.

Ciò significa che dobbiamo sempre fare attenzione a quello che carichiamo attraverso i nostri smartphone: le foto, i commenti, i video, materiale che potrebbe saltare fuori ed essere recuperato in qualunque momento della nostra vita e divenire oggetto di cyberbullismo.

Al tempo stesso, però, anche il bullo non può pensare di essere invisibile, perché verrà sempre rintracciato. Il bullo non è un fantasma.

Non bisogna esporsi oltre misura, non è necessario raccontare ogni dettaglio della nostra vita sulla rete (parliamo con un amico), perché il rischio è sempre in agguato. Sono alcuni dei consigli regalati questa mattina, mercoledì 20 aprile, dall’ispettore tecnico della Polizia Postale del Molise, Mario Vitarelli, in cattedra nell’auditorium della scuola media ‘Brigida’ di Termoli, in occasione dell’incontro organizzato per parlare di Cyberbullismo e degli innumerevoli rischio che si incontrano navigando in rete.

Un momento di grande arricchimento per gli studenti delle seconde, anticipato dai saluti del Ds Francesco Paolo Marra, e soprattutto occasione di riflessione sui propri comportamenti.

D’impatto la storia di Carolina Picchio, a cui è dedicata la prima legge italiana contro il cyberbullismo in vigore dal giugno 2017, considerata la prima vittima del cyberbullismo, morta suicida a 14 anni dopo che alcuni compagni avevano diffuso le sue foto e video intimi sul web.

Ma non c’è bisogno di guardare così lontano nel tempo e nello spazio. L’ispettore ha, infatti, citato due video che ritraevano un gruppo di ragazzi violenti malmenare anziani signori, davanti ad un supermercato di Campobasso. Questo accadeva non più di 4 mesi fa.

Non è solo la storia di violenza in sé a dover far riflettere, ma la velocità con cui immagini di questo genere (come di altro tipo) circolano sulla rete. Provocando danni, a volte irreparabili.

Parliamo di cyberbullismo, inoltre, non solo quando ci troviamo di fronte alla violenza fisica, ma anche davanti a commenti, ingiurie, offese e ‘dicerie’ che compromettono la nostra immagine agli occhi di tutti.

Le parole fanno più male delle botte. E circolano con una velocità inaudita, spesso inimmaginabile.

Dagli anni ’90 ad oggi, infatti, la velocità di accesso alle informazioni, soprattutto con gli smartphone, è cresciuta in modo esponenziale.

Questo significa che ogni qual volta carichiamo una foto, o un video, o postiamo un pensiero, lo stesso finisce nella rete visibile e invisibile, costituita dal sistema cloud, che ci permette di sincronizzare più dispositivi, facendo viaggiare nell’etere ogni tipo di informazione che ci riguarda, ovvero la nostra identità digitale, le foto della nostra vita, anche momenti di spensieratezza, che però potrebbero saltare fuori ed essere recuperati in qualunque momento, con la capacità di rovinarci la vita, o di mandare all’aria un colloquio di lavoro o molto peggio.

Nessuno può pensare di essere anonimo o invisibile sulla rete, nessuno può pensare di dire o scrivere ciò che vuole e di essere impunito, perché quelle foto, quei pensieri, faranno parte della nostra reputazione on line. Ovviamente questo riguarda sia le vittime di bullismo o cyberbullismo, sia i cosiddetti ‘carnefici’.